Uno studio eseguito in Francia ha valutato l’efficacia della terapia con radioiodio eseguita dopo la tiroidectomia nella gestione del cancro della tiroide a basso rischio. I risultati della ricerca hanno dimostrato che, in questa specifica casistica, gli esiti clinici non sono stati differenti nei casi che non hanno ricevuto il trattamento con radioiodio.
Nei casi di cancro differenziato della tiroide a basso rischio, è dibattuta la necessità di eseguire una terapia con radioiodio dopo la rimozione chirurgica della ghiandola, in quanto non sono stati dimostrati con certezza i vantaggi di questa soluzione. Per tale motivo, Leboulleux e colleghi hanno eseguito uno studio prospettico, randomizzato di fase 3, che ha arruolato persone con cancro differenziato della tiroide a basso rischio, sottoposte a tiroidectomia. In un gruppo di esse, alla rimozione della ghiandola ha fatto seguito la somministrazione di radioiodio alla dose di 1.1 GBq, dopo che avevano ricevuto TSH umano ricombinante per via intramuscolare. L’altro gruppo, dopo la tiroidectomia non ha ricevuto il radioiodio. L’obiettivo primario è stato valutare se la mancata somministrazione del radioiodio dopo la tiroidectomia fosse non inferiore come efficacia, rispetto al suo impiego, considerando una variabile composita che includeva alterazioni funzionali, strutturali e biologiche, che si potevano sviluppare nei tre anni successivi. Per non inferiorità si è intesa una differenza inferiore al 5% tra le percentuali dei soggetti dei due gruppi che non avevano eventi che comprendessero: la presenza di sedi anomale di captazione del radioiodio rilevate alla scintigrafia, tali da richiedere un successivo trattamento, oppure riscontri anomali all’ecografia del collo o concentrazioni elevate nel sangue di tireoglobulina o di anticorpi anti-tireoglobulina. Come variabili secondarie, sono stati considerati alcuni fattori prognostici utili a prevedere eventi e caratterizzazioni molecolari. Sul totale dei 730 malati che è stato possibile valutare dopo tre anni, la percentuale di quelli senza eventi è stata del 95.6% (intervallo di confidenza al 95% 93.0-97.5) nel gruppo non trattato il radioiodio e del 95.9% (intervallo di confidenza al 95% 93.3-97.7) nel gruppo sottoposto a questa cura. La differenza tra i due gruppi è stata di – 0.3 punti percentuali (intervallo di confidenza a due code al 90% da – 2.7 a – 2.2), risultato che è rientrato nel criterio stabilito per confermare la non inferiorità dell’approccio senza terapia con radioiodio. Gli eventi registrati sono consistiti in alterazioni funzionali o strutturali in 8 persone e in anomalie biologiche in 23 malati con 25 eventi. Gli eventi sono stati più frequenti nei soggetti con concentrazioni nel sangue di tireoglobulina superiori a 1 ng/ml, in corso di trattamento con levotiroxina, dopo la rimozione chirurgica della ghiandola. Le alterazioni molecolari sono state simili nei casi con o senza eventi. Non ci sono stati eventi indesiderati attribuiti alla cura.
Nelle conclusioni gli autori hanno sottolineato che, nella loro casistica di persone con cancro della tiroide a basso rischio sottoposte a tiroidectomia, l’approccio che non ha previsto la cura con radioiodio dopo l’intervento è risultato non inferiore, come efficacia, a quello che non comprendeva tale cura. Ulteriori evidenze su più ampie casistiche dovranno confermare i risultati di questo studio e, comunque, la decisione di trattare con radioiodio le persone sottoposte a tiroidectomia per cancro della tiroide va presa in base alle caratteristiche del singolo caso.