“In un mondo ideale, meglio visitare una persona in più, magari per poi escludere la presenza della sclerosi multipla, piuttosto che vederne meno e lasciare malati senza la corretta diagnosi”. Questo il punto di vista che Alessandra Lugaresi, neurologa e Professoressa Associata del Dipartimento di Scienze Biomediche e Neuromotorie dell’Università “Alma Mater” di Bologna esprime nella terza parte della videointervista. Il motivo è evidente: formulare una diagnosi nella fase più precoce della malattia può voler dire somministrare una cura, se indicata, che risulterà più efficace nel fermare o nel rallentare l’evoluzione della malattia. Il mondo ideale, per definizione, non esiste, ma chi può fare che cosa per avvicinarcisi il più possibile? Nel percorso di diagnosi e cura (Percorso Diagnostico Terapeutico e Assistenziale: PDTA) da lei pianificato a Bologna, può essere già il medico di medicina generale a chiedere una risonanza magnetica, se ipotizza che, all’origine di un sintomo, ci sia la sclerosi multipla. In alternativa, può prescrivere la visita di un neurologo del territorio e quest’ultimo, dopo aver approfondito la valutazione, potrà eventualmente inviare il malato al Centro specializzato. Insomma una “rete” a maglie strette, per prevenire le mancate diagnosi nelle persone con sclerosi multipla.
Redazione Fondazione Cesare Serono