La terapia farmacologica rappresenta un elemento centrale nell'approccio alla malattia di Parkinson. Il 98,1% sta seguendo una terapia utilizzando i farmaci specifici per il Parkinson, e in particolare l'85,9% sta utilizzando la levodopa (che rappresenta il farmaco più noto ed utilizzato) mentre il 57,6% sta utilizzando i dopamino"‘agonisti, classe di farmaci relativamente più recenti, ed evidentemente esiste una quota significativa di pazienti (il 47,4%), che è in terapia con entrambi i farmaci (tab. 5).
Osservando il dato sulla base della variabile del livello percepito di gravità della malattia si osserva come la totalità dei pazienti definiti lievi segua la terapia specifica, mentre il dato scende fino al 93,8% tra i pazienti più gravi.
Anche il ricorso alla levodopa segue un andamento simile, ed è più frequente tra i pazienti più lievi (90,2%) rispetto a quelli più gravi (81,3%): si tratta di dati che trovano con ogni probabilità spiegazione nell'evoluzione della malattia, per cui la levodopa, estremamente efficace negli stadi iniziali, perde progressivamente di efficacia con il passare degli anni, mentre gli alti dosaggi che i pazienti in stato più avanzato devono utilizzare ne rendono assai più frequenti e limitanti gli effetti collaterali. Il ricorso ai dopamino"‘agonisti risulta più frequente tra i pazienti che si definiscono moderati o gravi, mentre è meno utilizzata dai pazienti definitisi lievi o molto gravi.
L'aumentare degli effetti collaterali all'aumentare dei dosaggi dei farmaci è dimostrato con chiarezza dalla quota di pazienti che sono in cura per contenere questi effetti: si tratta complessivamente del 10,9%, ma il dato passa dal 4,9% di chi è ad uno stadio presumibilmente iniziale (i pazienti lievi) al 43,8% di quelli che sono molto gravi.
Tab. 5 - La terapia farmacologica attuale, per livello percepito di gravità della malattia (val. %) (Il totale non è uguale a 100 perché erano possibili più risposte)
Lieve |
Moderato |
Grave |
Molto Grave |
Totale |
|
Assumono farmaci specifici per il Parkinson |
100,0 | 99,4 | 95,9 | 93,8 | 98,1 |
Di cui: Levodopa | 90,2 | 84,6 | 86,7 | 81,3 | 85,9 |
Di cui: Dopamino-agonisti | 41,5 | 57,1 | 65,3 | 56,3 | 57,6 |
Sono in terapia per gli effetti collaterali | 4,9 | 7,7 | 13,3 | 43,8 | 10,9 |
Assumono Psicofarmaci | 9,8 | 16,0 | 13,3 | 31,3 | 15,1 |
Fonte: Indagine Censis, Parkinson Italia e Fondazione Cesare Serono 2011
Analogamente la fragilità psicologica, testimoniata in questo caso dal ricorso agli antidepressivi e alle benzodiazepine (confluiti nella categoria degli psicofarmaci) fa osservare un andamento di questo genere, e si tratta di farmaci utilizzati da meno del 10% dei pazienti lievi contro il 31,3% di quelli più gravi.
Nonostante i molti progressi scientifici compiuti in campo farmacologico, la breve durata degli effetti benefici dei farmaci utilizzati rappresenta, insieme alla frequente necessità di prendere diversi farmaci, uno degli aspetti più problematici nella quotidianità dei parkinsoniani: in media i pazienti intervistati devono prendere farmaci 7,1 volte al giorno, con valori che passano dalle 4,9 somministrazioni per coloro che definiscono lieve il proprio Parkinson alle 8,3 di chi invece lo definisce molto grave (tab. 6).
Tab. 6 - Numero medio di somministrazioni giornaliere di farmaco, per livello percepito di gravità della malattia (val. %)
Lieve |
Moderato |
Grave |
Molto grave |
Totale |
|
Numero somministrazioni giornaliere | 4,9 | 7,0 | 8,0 | 8,3 | 7,1 |
Fonte: Indagine Censis, Parkinson Italia e Fondazione Cesare Serono 2011
Di fatto la gestione della terapia farmacologica rappresenta per i pazienti, specialmente per quelli più anziani, un'incombenza significativa: circa la metà di loro ha infatti bisogno di farsi aiutare da almeno un'altra persona per ricordarsi di prenderli, negli orari giusti, a più di uno su quattro (il 27,5%) capita almeno due volte a settimana di perdere il conto delle somministrazioni giornaliere, e a circa uno su cinque capita di dimenticare di prenderle . Chiaramente si tratta di quote che tendono ad aumentare in modo vistoso all'aumentare dell'età (tab. 7).
Tab. 7 - Difficoltà e problemi nella gestione della terapia farmacologica, per classe d'età (val. %) (Il totale non è uguale a 100 perché erano possibili più risposte)
Fino a |
65-69 anni |
70-74 anni |
75 anni |
Totale |
|
C'è sempre una persona che l'aiuta a ricordare i farmaci |
37,8 | 41,5 | 44,4 | 73,1 | 49,4 |
Due volte a settimana non ricorda se ha preso o no una medicina |
21,9 | 30,2 | 24,2 | 35,5 | 27,5 |
Almeno due volte a settimana,salta almeno una pillola in una giornata |
19,5 | 18,9 | 15,8 | 22,4 | 19,0 |
Difficoltà nelle modalità burocratiche per ottenere i farmaci |
17,1 | 22,6 | 15,2 | 15,4 | 17,0 |
I farmaci rappresentano spesa importante nel bilancio familiare |
40,7 | 20,8 | 32,3 | 33,3 | 32,8 |
Fonte: Indagine Censis, Parkinson Italia e Fondazione Cesare Serono 2011
La grande quantità di farmaci che i pazienti devono assumere ne rende, per il 17,0% di essi, problematico anche l'approvvigionamento, specie in relazione al numero massimo di confezioni che è possibile acquistare con una singola prescrizione, mentre il peso economico che i farmaci hanno nel budget familiare viene indicato da circa un paziente su tre (32,8%).
La presa in carico e l'inizio del percorso terapeutico, a seguito della diagnosi, sono anch'esse fasi che hanno presentato difficoltà per buona parte dei pazienti intervistati: solo nel 30,0% dei casi, infatti, il medico che segue attualmente i rispondenti è lo stesso che ha formulato la diagnosi definitiva, e se quasi la metà del campione si è limitato a cambiarne uno (30,0%) o due (18,4%), oltre il 20% ne ha cambiati tre o più. In particolare sono i pazienti più giovani a mostrare di aver cercato con particolare cura il professionista che li seguisse: con ogni probabilità si tratta di una ricerca della qualità nelle cure tanto più meticolosa quanto più lo stabilire un approccio terapeutico adeguato può avere un peso importante nel determinare la qualità della vita per il futuro (tab. 8).
Tab. 8 - Medici cambiati prima di affidarsi a questo professionista, per età (val. %)
Fino a 64 anni |
65-69 anni |
70-74 anni |
75 anni e più |
Totale |
|
Nessuno, è lo stesso che ha formulato la diagnosi | 20,8 | 32,1 | 31,6 | 36,3 | 30,0 |
Uno | 21,9 | 28,3 | 35,8 | 32,5 | 30,0 |
Due | 25,7 | 18,9 | 13,3 | 16,9 | 18,4 |
Tre | 10,9 | 7,5 | 6,1 | 1,3 | 6,5 |
Quattro | 7,3 | 1,9 | 6,1 | 7,8 | 6,1 |
Più di quattro | 13,4 | 11,3 | 7,1 | 5,2 | 9,0 |
Fonte: Indagine Censis, Parkinson Italia e Fondazione Cesare Serono 2011
I dati confermano dunque quanto nella gestione della malattia di Parkinson gli aspetti strettamente medici e sanitari siano centrali: la terapia farmacologica, che dà grandissimi benefici nel controllo dei sintomi specie nei primi anni, richiede però continui aggiustamenti e ricalibrazioni, perché da un lato la malattia progredisce, e dall'altro gli effetti collaterali dei farmaci possono arrivare ad essere invalidanti quanto i sintomi della malattia stessa, ma nello stesso tempo il cambio di terapia richiede ai pazienti un adattamento faticoso.
Il medico di riferimento, nella pressoché totalità dei casi si tratta di un neurologo che in oltre l'80% dei casi segue i pazienti nel pubblico e nel 17% circa nel privato, rappresenta dunque una figura fondamentale nella gestione della malattia. Questo contribuisce a spiegare perché in tanti casi i pazienti parkinsoniani cambiano tanti medici, fino a quando non ne trovano uno con il quale costruire quel rapporto di fiducia reciproca che è fondamentale per gestire il più positivamente possibile la malattia.
Ed è proprio la mancanza di fiducia la ragione che più spesso i rispondenti hanno citato come il motivo di tanti cambi di medico (39,0%), così come è stata indicata da una quota quasi analoga di intervistati anche l'insoddisfazione per i risultati della terapia (37,6%). Le difficoltà logistiche sono indicate dal 19,5%, mentre il 18,5% fa riferimento ai cambi di terapia eccessivamente frequenti (dato che indica, seppure indirettamente, una mancata o non sufficiente condivisione delle scelte terapeutiche) (fig. 2).
Fig. 2 - I motivi per cui hanno cambiato medico (val. %)
Fonte: Indagine Censis, Parkinson Italia e Fondazione Cesare Serono 2011
Ad essersi sottoposto all'intervento di DBS (stimolazione cerebrale profonda), intervento chirurgico piuttosto invasivo e non privo di rischi, ma che permette nei parkinsoniani ad uno stadio intermedio della malattia una significativa riduzione dei sintomi, è complessivamente il 6,3% dei pazienti.Ad indicare di non essere interessato, perché lo considera troppo rischioso, è il 54,3% del campione, mentre poco più del 20% dei rispondenti indica che vorrebbe sottoporvisi, ma che il suo medico lo ritiene non più (15,9%), o non ancora (7,6%) idoneo. Il 15,9% evidenzia invece una carenza informativa importante, laddove indica di non essere mai stato informato dell'esistenza di questa possibilità terapeutica (fig. 3).
Fig. 3 - Opinioni ed esperienze a proposito dell'intervento di DBS (stimolazione cerebrale profonda) (val. %)
Fonte: Indagine Censis, Parkinson Italia e Fondazione Cesare Serono 2011